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Don Domenico Pistella
Sant'Elena a New York
Cosmo Schiavo

 


 

In un pomeriggio d’autunno, dalla finestra del suo studio sulla centosedicesima strada, don Domenico Pistella, parroco della chiesa della Madonna del Carmine, osservava lo scorrere frettoloso del traffico, che s’immette sull’arteria di scorrimento veloce lungo l’East River.

Lì era il nucleo della Piccola Italia dalla fine dell’Ottocento fin verso l’inizio degli anni sessanta del secolo scorso. Gli alti caseggiati speronati dallo sgorbio dei passamani di ferro per i salvataggi antincendio accusano i sedimenti di polvere e di fumo; i marciapiedi sono ingombri dei detriti e delle pattumiere in attesa della raccolta della sera. Mancano alle finestre degli edifici di fronte i vasi di garofani e le cassette di basilico e dall’interno mi giunge, indiscreta e sguaiata, la voce di un altoparlante e il tum tum di vecchi dischi a percussione latina.

E’ cambiato l’ambiente, non solo per la mancanza dei garofani e del basilico, ma soprattutto per l’esodo di quelli che formavano la Piccola Italia. Il rammarico non era tanto perché gli altri erano venuti, quanto perché i nostri se ne erano andati; e i nostri sono i loro stessi familiari, verso luoghi un po’ più tranquilli, per respirare meglio.
E’ rimasta la Chiesa, la Chiesa Madre di tutte le chiese italiane di New York, santuario della Madonna miracolosa, che tutti gli Italiani d’America amano e venerano intensamente.
E ritornano, a metà luglio, a decine di migliaia per la festa della Madonna del Carmine.

I visitatori sostano con un po’ di curiosità ad osservare sotto l’altare della navata di sinistra la statua giacente di una giovinetta il cui nome, Elena, suona strano a gente di lingua anglosassone: è Sant’Elena vergine anacoreta di Laurino.

Erano chiamati a raccolta i Laurinesi, due volte all’anno, per una Messa Grande con panegirico in onore della santa fanciulla. Nel 1882, lo sappiamo tutti, il corpo della verginella fu riportato nella sua terra. Nella Piccola Italia, intorno alla chiesa, che gli emigrati avevano appena ultimato nel 1884, i Laurinesi vollero insediare la loro patrona e fecero riprodurre una replica dell’urna di cristallo e della statua, al naturale, come si venera nel paese lontano. A loro conforto ottennero una reliquia insigne, che era solennemente esposta nelle due date anniversarie di maggio e ottobre, rispettivamente della morte e della traslazione delle reliquie.

I laurinesi di oggi (n.d.r. novembre 1974), nella Piccola Italia, sono ormai sparuti di numero, quelli autentici che hanno ancora il ricordo del paese lucano e della chiesa di Santa Maria Maggiore, che custodisce le reliquie di Sant’Elena. Ed io sono qui con loro, due volte l’anno, a celebrare il ricordo della fanciulla anacoreta e le vicende di quel suo corpo benedetto. E mi torna alla mente l’angoletto di quella cappella della navata sinistra della Cattedrale di Ariano, con quella statua al disotto della statura normale, che forse segnava il luogo esatto dove i preziosi resti avevano atteso sei lunghi secolo, prima che i suoi li reclamassero e ne portassero seco la devozione oltre oceano, per un altro capitolo delle sue peregrinazioni.

(da una nota – novembre 1974 - di don Domenico Pistella, parroco della chiesa della Madonna del Carmine di New York)


 

 

 

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