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Raffaele Marotta
La passeggiata di Ron Rafele
Raffele Marotta, Rodolfo Durante
di Bruno Durante

 

Verso le sei, a la rinfrescata, lo vedevo salire a passo lento, ma non stanco, col suo lucido bastone, camicia e pantaloni di lino stazzonato e il panama bianco a falde larghe.
A quell’ora, Ron Rafaele, puntuale come un orologio, lasciava il suo buen retiro di S. Antonio e saliva in città per il suo rito serale.

Avrà avuto quasi 80 anni. La prima sosta la faceva alla Croce. Lì per qualche minuto guardava forse l’orizzonte, ma più probabilmente le sue terre sulle quali, come per Carlo V, non tramontava mai il sole. Ron Rafaele, ‘u cavaliere Marotta era il più grande proprietario terriero di Laurino e forse dell’intero Cilento.

Suo il fondo attorno al Convento, suo un fondo a S. Rocco, sue le immense Macchie di Ognissanti, sue vaste proprietà nel Vallo di Diano, a Vallo, a Castellabate e in altri posti che non ricordo. Case e casini dappertutto. Un piccolo impero agro-pastorale, insomma, su cui lavoravano decine di fattori, parzunali, affittuari, pastori e su cui il cavaliere sovrintendeva non come un signore feudale, ma con autentico spirito imprenditoriale.
Sulle sue tenute, infatti, egli applicava le più moderne tecniche agrarie realizzando, già a quei tempi, una sorta di filiera agricola che andava dalla coltivazione e dall’allevamento al prodotto finito e alla commercializzazione. Ricordo come particolarmente ricercati i suoi caciocavalli provenienti da Sala Consilina.

Raffaele Marotta e Ida Matarazzo

Esemplare, per dire, fu l’introduzione dell’ ultimo modello di mulino e del più recente impianto per la molitura delle olive. E tutto questo quando gli antichi mulini funzionavano ancora con le gigantesche macine di pietra e i trappiti, sempre a macine di pietra, filtravano l’olio con i fisculi.
Il suo mulino, invece, macinava e selezionava automaticamente separando la crusca dalla farina, fino alla bianchissima doppio zero mai prima da allora conosciuta. E il suo oleificio brillava dei suoi giganteschi silos d’acciaio per il filtraggio e la conservazione dell’olio, simboli scintillanti del nuovo che avanzava. Quasi una creazione futurista.

Già il suo impegno sulla terra gli sarebbe bastato per accumulare ingenti ricchezze. Ma Ron Rafaele non era il classico signorotto latifondista con i soldi sotto il materasso. In lui ardeva la febbre della modernizzazione, lo spirito lungimirante e rapace dell’imprenditore. Ed eccolo, ad inizio secolo, autentico pioniere, affrontare l’avventura del secolo: la produzione di energia elettrica.
Nel 1912, creando la piccola diga della Palata ri coppa, costruì lì a destra, la centrale, (forse oggi un buon reperto di archeologia industriale da recuperare) per portare la luce a Laurino. E Laurino finalmente, l’anno dopo, si illuminò. Oddio, poche lampade su strade e vicoli pubblici e fioche anche, ma sempre meglio del buio che ingoiava le notti e spegneva la vita alle 9 di sera. Per molti anni ancora la luce restò appannaggio solo delle famiglie più abbienti.

E poi sì, bisognava fare i conti con un palo che cadeva, con i fili che si spezzavano, con i temporali invernali che facevano saltare tutto, ma insomma vuoi mettere? Anche se l’illuminazione, ancora negli anni ’50, era precaria, persino aleatoria, la civiltà era arrivata. Fiat lux, et lux facta est. Così aveva decretato Don Raffaele Marotta, il cavaliere.
Ma Ron Rafaele mica era uomo da fermarsi all’industria. Ed eccolo allora nella finanza, fra i principali azionisti nel Consiglio di amministrazione della neonata Banca di Salerno diretta da Giuseppe Matarazzo della famosa dinastia di Castellabate che con il capostipite Francesco aveva creato in Brasile un impero agricolo-industriale-finanziario immenso. La figlia di Giuseppe, Ida, che ricordo aristocratica e bellissima, diventerà poi la moglie del Cavaliere.

E se non bastasse fu per diversi anni anche sindaco del paese, portatore di un’etica per la cosa pubblica passata alla storia. Durante il suo mandato, per limitare al massimo le spese, scriveva solo l’indispensabile per non sprecare i francobolli.
Quasi come adesso, per dire. Un Quintino Sella laurinese, insomma.

Ma per tornare alla sua passeggiata serotina. La seconda fermata Ron Rafaele la faceva al nostro tabacchino. Là si sedeva sul gradone di pietra, scambiava quattro chiacchiere con mio padre mastu Rodolfo che gli metteva da parte i migliori toscani dell’ultima fornitura. Lui li esaminava, li accarezzava con cura ascoltando la voce delle foglie, ne trinciava uno a metà, l’accendeva aspirando voluttuosamente, ammorbava l’aria di pestifero fumo e riprendeva la salita per completare il suo giro.

Ron Rafaele, però, e non credo di sbagliarmi, malgrado le sue molte attività, restava nell’animo un uomo della terra. Affascinato dall’industria, dalla finanza, dall’impegno amministrativo, ma visceralmente terragno. Quando gli distruggevamo un po’ di spighe di grano col nostro pallone, era come strappargli ‘na penna ri core.
E lui, appostato sulla terrazza, minacciava di spararci a sale nel culo.

Si ringrazia Bruno Durante per l'articolo.

 


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