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Un bassorilievo del X secolo
L’enigmatica Signora dei serpenti di Laurino
di Cosmo Schiavo

Il bassorilievo, di terracotta e di malta di cocciopesto, è inserito in un piccolo ninfeo sovrastato da una valva di conchiglia. La figura femminile si presenta coronata, con sguardo mite e benevolo, capelli ondulati ricadenti in ricca chioma sulle spalle e sugli omeri. La parte inferiore del suo corpo, inarcata, è anguiforme. Le volute dei serpenti terminano con un fiore trilobato, che stringono nelle bocche in segno probabilmente di offerta…

Alla destra della figura principale si staglia una figura maschile. È un giovane satiro danzante, anguipede. Alla fine delle volute serpentiformi, squamate con la tecnica dell’incastonatura delle valve di conchiglie, appare la stessa forma di fiore presente nella figura della Dea Madre. Con il braccio destro sorregge un oggetto, di cui parleremo; nel sinistro sembra delinearsi una coppa.
Alla sinistra un altro satiro, in figura è speculare…

Gli oggetti sorretti con la mano destra sono strumenti musicali, bùcinae (bos-cano), corni a foglia di conchiglie di ferro battuto o di ottone, o grandi conchiglie marine in cui vive il tritone, usate dai pastori e dai bovari.
I satiri suonano, ballano e ….bevono. Sarebbero impegnati, dunque, in un'orgia, diciamo così, dionisiaca, in una forma di contaminazione ritualistica nella quale il tremendo dio è sostituito da una Magna Mater…

Di sotto la parte inferiore del corpo si nota una cavità che sprofonda nel terreno sottostante. Si tratta, con ogni evidenza, di una fonte, nella quale erano convogliate acque di scorrimento. Lo stesso termine “fonte” etimologicamente richiama simbolicamente un flusso, legato all’energia della vita, al tempo, al trascorrere delle cose, al trasferire, al trasportare. La fonte è, dunque, collegata alla vita. Non è possibile dire se fosse acqua sorgiva incanalata; in ogni caso il sorgere, il fluire è collegato al ri-sorgere, alla nascita, alla guarigione e, in forma traslata, metaforicamente, alla polluzione dall’interno verso l’esterno della materia…

Alcune marche tipografiche cinquecentesche inserite rappresentano, sorprendentemente, la nostra iconografia. In una, ai cui lati si mostrano in bella grafia frasi in greco



non danneggia, anzi incita i naviganti
una sirena dalla bella voce nelle nostre pagine
per chi, senza legacci, e senza applicazioni di cera
ha attraversato con coraggio i mari della sapienza )

appare in un’edizione delle orazioni di Isocrate apparsa a Venezia nel 1591 per merito degli eredi dell’editore Giovanni Varisco, Giorgio e Marco, attivi a Venezia tra il 1591 e il 1617.
La sirena bicaudata, però, è attestata come marca tipografica fin dai primi decenni del ‘500, per merito dell’editore bresciano Pietro Ravani, attivo a Venezia tra il 1526 e il 1528, e con Melchiorre Sessa tra il 1524 e il 1525...

Può essere verosimile che un colto committente abbia estratto l’esigua marca da un libro in suo possesso e ne abbia affidata l’esecuzione in bassorilievo di malta a un altrettanto raffinato artigiano/artista? Oppure può essere verosimile che l’iconografia preesistesse in loco? Forse non riusciremo mai a dare risposta ai quesiti.

L’elemento discriminante è rappresentato sicuramente dalla corona. Le bicaudate romaniche non presentano corone. L’unico reperto, cui posso riferirmi, è la bicaudata coronata su arenaria del centro storico di S.Marco dei Cavoti, in provincia di Benevento…

La figura femminile
Ritengo che la figura femminile, con marcati tratti gentili, inserita in un contesto di variegate coordinate religiose, proprie della visione esoterica dell’uomo medioevale, sovrasti un ninfeo molto marcato da una simbologia esoterica.
Non posso dire, per il momento, se il manufatto sia stato elaborato proprio in età angioina, oppure se l’acquisita iconografia, trasmutata nelle marche tipografiche, trovi riferimento in una misteriosa, sotto alcuni aspetti bizzarra, quanto apprezzabile, costruzione intellettualistica coeva o più o meno tarda.
Posso, però, dire che il riferimento iconografico, non coronato, è presente, simile nella forma al primo Ravani e ai raffinati Varisco, nel codice miniato che riporta il  Liber acerbe etatis del citato Cecco d’Ascoli, della seconda metà del XIV secolo.
Cecco, pseudonimo di Francesco Stabili (Ancarano,1269-Firenze, 16/9/1327) fu personaggio eminente nel panorama culturale del Trecento. Poeta, medico e mago, insegnante, astrologo/astronomo, filosofo, fonte iconografica di Leonardo da Vinci per i suoi studi sulle bestie, seguace dell’esoterismo arabo dell’Alcabizio e di Giovanni Sacrobosco, fu arso sul rogo per eresia dinanzi S.Croce…


Melusina … fata benefica, strega/sirena, gnostica, perché capace di riunificare ogni coppia di opposti, alchemica, perché il latte e il sangue delle sue mammelle si trasformano in oro e in argento, archetipo della rinascita dalle acque e della trasmutazione di questo elemento, come l’uomo rinnovato che risorge dalla precedente condizione bestiale. Proprio lei, che fa capolino nel ricco simbolismo alchemico/esoterico della Chiesa di San Secondo a Cortazzone, qualche secolo prima, lì, come in tutte le chiese medievali, simbolo esteriore dell’inganno, del meretricio, delle tentazioni, della lascivia, nobilitata e occultata dalla “nuova” scienza, dai nuovi saperi, che non possono esprimersi se non in forma nascosta. La trasmissione della sapienza alchemica (la Grande Opera) è sottoposta a un rito ben preciso. Deve, prima di tutto, iniziare con il compiere il viaggio a Compostela, da S.Giacomo, patrono degli alchimisti. Alla sua conclusione il pellegrino-alchimista riceve la conchiglia, nella quale conserverà l’acqua del mare ermetico (conchiglia mercuriale) …

I Satiri
Ancora più arduo accostarsi a un’interpretazione simbolica dei satiri. Gli alchimisti fondavano innanzi tutto sulla percezione la capacità e lo sviluppo di ogni conoscenza, per cui l’interpretazione simbolica era quanto mai soggettiva, tanto quanto l’elaborazione artistica dell’idea. Il Testi ci informa che per i Saggi alchemici il termine Satir era sinonimo di Mercurio, uno dei principi occulti costitutivi della Materia, pericolosissimo in natura per gli adepti, così che occorre purificarlo fino a ottenere l’Oro, preparato per l’Opera finale.

Con l’unione del fisso con il volatile (Zolfo-Mercurio) si celebra il Matrimonio, le Nozze chimiche. Pan, secondo una certa mitologia, era figlio di Ermes. Non accettato dalla madre Penelope, fu, invece amato e benvoluto dagli dei, soprattutto da Dioniso. Si ritornerebbe, così, al concetto dualistico di Bene/male, Perfezione/imperfezione, Divino/umano, Spirito/materia, racchiuso nella sintesi circolare della figura principale, principi che si uniscono nella coincidentia oppositorum della Grande Opera.
Sulle buccinae vi sono riferimenti meno ambigui. Il Clangor buccinae è un trattato anonimo d’alchimia che può evocare un’associazione con le Nozze chimiche. La stessa corona, per gli alchimisti, è il simbolo della regalità chimica, della perfezione, tanto che i metalli, prima schiavi ai piedi del Re, l’Oro, dopo la Trasmutazione, si presentano coronati, Re essi stessi, tornando alla regalità spirituale perduta…

Senza dubbio ci troviamo di fronte ad un’espressione d’arte di notevole spessore, inserita in un multiforme quadro culturale di ampio respiro, che fa emergere una realtà territoriale viva e pulsante, non certo relegata ai margini dei grandi scenari storici presentati.
Immagino il valente maestro artigiano che prepara dapprima l’intonaco della nicchia, vi delinea le figure da inserire, vi incastona le conchiglie, poi, probabilmente, pone alcune parti anatomiche, che ha precedentemente modellato, imprimendovi l’alito artistico delle espressioni, ne carezza le parti mallealibi, le forme anguiformi, sulle quali inserisce contestualmente altre conchiglie. Chissà dove abbia trovato tante conchiglie e come siano pervenute a Laurino. Non lo sapremo mai. E’ davvero stupefacente!
Che dire, poi, del suo committente, un uomo certamente erudito, dai molteplici interessi, che ne segue, con sapienza, l’elaborazione, fase per fase?
Ma c’è di più. Una delle formella che contornano il ninfeo sembra rappresentare un girasole, che per gli alchimisti è un piccolo sole sulla terra, caratterizzato dalla marcata carica simbolica positiva dell’abbondanza e della fecondità. È proprio il cerchio stellato a sette punte di cui ci parla l’Anonimo del Trattato aureo della pietra filosofale.

Le piante eliotrope, primo fra tutti il girasole, e selenotrope, prime fra tutte la palma, rappresentano la massima espressione del magnetismo vegetale. Gli alchimisti erano convinti che vi fossero strettissimi legami tra l’uomo, gli astri e i regni animale e vegetale e che esistesse un’unica forza che li tenesse insieme: un’unica forza, quindi, quella dell’Amore… lega il mondo minerale, vegetale ed animale… le pianticelle fino ad allora sepolte nella matrice dei semi, come slanciandosi alla vista della ridente luce, dilatate di gioia, subito mandano fuori foglie, fiori e frutti. Tutti gli animali, come incitati dal gaudio celeste, ovvero dal raggio fecondo della luce, come se ridessero e si dilatassero nello spirito, sono spinti alle voluttà con moto fecondo. La formella sottostante dovrebbe rappresentare, pur’essa, una pianta di girasole, ma allo stadio precoce della formazione dell’infiorescenza (capolino): la Grande Opera è ancora ad uno stadio intermedio, prima di sbocciare nella pienezza del giallo solare, colore che raffigura la luce della conoscenza: 7 i raggi mistici del sole, 7 i pianeti dell’antichità, 7 i metalli dell’alchimia, 7 i procedimenti per compiere la Grande Opera.

Alla fine, dopo il regime di Venere, apparirà l’albero filosofico, fronzuto e ramificato, e la Dea lascerà il suo posto all’irrompere del regno di Marte, che inizierà con una luce gialla o di colore bruno intenso, come il manganese.
Brillerà appieno allora il numero aureo nascosto all’interno del disco.

Il manufatto può essere datato ai primi tre quarti del X secolo.

Si ringrazia Cosmo Schiavo per l'articolo e le immagini

 

 

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