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Divagazioni laurinesi fra storia
e memoria
A zonzo dentro e fuori le mura

di Bruno Durante

Credo che ci siano pochi ormai a Laurino che chiamino la zona della Rotonda col suo nome antico di S. Sofia. Ancor meno sapranno che quel toponimo, direttamente legato alla colonizzazione e al culto dei monaci italo-greci, le deriva dalla piccola cappelletta, ora ridotta a garage, attaccata a “La Rupe”.  Sì, quel minuscolo manufatto, S. Sofia, appunto, è probabilmente contemporaneo al primo periodo di presenza basiliana a Laurino e nel Cilento, VIII e IX sec. Negli anni ’50 aveva ancora un minuscolo campanile a vela.

La dedicazione rimanda naturalmente alla grande S. Sofia di Costantinopoli (Hagìa Sophìa) verso cui è orientata, come tutte le chiese di rito greco, sulla direttrice ovest-est. Ai fini di un primo criterio di datazione delle chiese laurinesi, il loro orientamento è importante. A oriente, cioè al sole nascente, alla luce della fede, alla Sapienza (sofia) divina e dunque a S. Sofia, guardano S. Maria, Ognissanti, l’Annunziata, S. Lorenzo. Ad oriente guardava anche S. Matteo.

S. Biase, invece, ha l’abside orientata a nord come lo era S. Pietro. Ma per S. Biase, vescovo di Sebaste in Armenia, e dunque santo autenticamente orientale, l’orientamento potrebbe essere stato cambiato in sede di riedificazione nel 1352 ad opera della nobile famiglia Santoro. Bisognerà verificare, al momento dell’auspicabile restauro (campa cavallo), eventuali resti sotto la pavimentazione e la funzione della parete est affrescata (da Cosma?), emersa sul lato destro della navata. Potrebbe essere un lacerto della chiesina originaria più piccola, come nell’Annunziata, da studiare ex novo.

Ciò naturalmente non vuol dire che le attuali fabbriche corrispondano al primitivo impianto basiliano, ma solo che sono sorte in una cornice culturale chiaramente bizantina o, comunque, ancora grecizzata. Forse sugli originari eremi dei monaci della locale Laura che faceva capo all’edicola della Vergine Hodigitria (protettrice del Cammino), diventata poi cenobio e infine chiesa di S. Maria Maggiore. E quando si dice questo, occorre ricordare che il rito greco, in parte del Cilento, dall’arrivo dei primi eremiti, sopravvisse addirittura fino al XVI secolo. A Cuccaro il vescovo Bonito a fine ‘500 fece bruciare i testi liturgici che erano ancora scritti tutti in greco. Per dire della forza e del radicamento che quella cultura aveva acquisito nei secoli. E della “intelligenza” di certi ecclesiastici.

Ma per tornare alla nostra S. Sofia, a parte l’attuale struttura esterna, non so se originale, le uniche citazioni che ne abbiamo sono un cenno nel capitolo 218 degli statuti di Laurino del 1493/1513 (… somerie…usque ad Sanctam Sofiam non ascendant…) e la relazione del canonico Speranza, vicario vescovile, che la vide in Santa Visita nel 1876. Era già sconsacrata e interdetta da tempo. Niente altro.

C’è da notare che era collocata proprio in prossimità della porta principale del paese indicata dal Pecori come “Porta del foro”.
Sono dell’opinione che tale denominazione sia stata inventata di sana pianta da qualche erudito che voleva nobilitare, oltre ogni credibilità e fondamento storico, il suo paese, attribuendogli nobili ascendenze romane. Negli Statuti la piazza è sempre indicata come platea superior (cap.36) e la porta come porta magna (Cap.116),” piazza di sopra” e “porta grande”, dunque. Fin qui i documenti. Ma proprio la sopravvivenza del toponimo della zona, ben oltre la secolare decadenza della cappella, potrebbe far sospettare che la porta magna possa essere stata chiamata verosimilmente, dai digiuni di latino, anche “Porta di S. Sofia”.

Dove, poi, il monumentale ingresso fosse precisamente collocato non si ricava da nessuna cronaca, neanche dalla interessante stampa sette-ottocentesca di F. Cassiano de Silva recentemente pubblicata da G. Mastrandrea su Zadalampe [link]. Come tutte le altre riproduzioni del paese anche questa è, purtroppo, ripresa da ovest. L’unica cosa certa è che le rovine delle antiche mura merlate, fino agli anni ’50, scendevano sotto il Palazzo, lungo la collina non ancora spianata per il parcheggio, a filo con casa Vertullo e la cappellina. Su quella linea di mura doveva necessariamente trovarsi la porta magna. Fuori però, c’erano, a sua difesa, secondo il Pecori, altre due porte secondarie in funzione di antemurali. Dove fossero, lungo la salita, non è dato sapere, ma la notizia è plausibile.

Prima dell’allargamento della strada, sul lato destro, sotto S. Maria, all’altezza della “Passarera”, erano ancora leggibili su parete intonacata, lacerti di affreschi raffiguranti S. Elena. La pittura, il basamento e il contrafforte sopravvissuti, sulla sinistra della strada, (troppo massicci per essere semplici muri della masseria: li si osservi dall’accorciatoia) e lo stesso toponimo rimandano forse proprio alla prima porta, punto obbligato di passaggio per chi arrivasse da S. Antonio o da Laurino Soprano (Piaggine) e Sottano (Casaletto) attraverso “ lu Cancieddu” e “lu Patri”. Una sorta di barriera daziaria presidiata da una “torre passerera” cioè con culmine a colombaia per il ricovero e la cattura di piccioni e passeri. La “Passarera”, appunto.

Ciò sarebbe giustificato anche dal punto di vista strategico essendo un’avanporta in quella posizione, una prima difesa anche per la sovrastante Pusterla. Anche questa, peraltro, ancora ai miei tempi, era preceduta da due antemurali ad arco, il primo, a metà salita, di cui restano i montanti impostati all’altezza del cancello del sottostante orto, il secondo più sopra, messo di traverso, appena oltre la curva del selciato.

Divagando, divagando, giova ricordare che “lu Cancieddu” divideva solo virtualmente il territorio delle Piaggine da quello di Laurino. Sul cancello era posta una campanella che veniva suonata per avvertire i canonici di S. Maria dell’arrivo di un neonato per il battesimo somministrato solo nella chiesa matrice. Nel 1555 le parrocchie dei casali si divisero da S. Maria diventandone autonome. Nel 1571 le Universitas delle Chiaine soprane e Sottane ottennero l’autonomia da Laurino anche ai fini fiscali. Nel 1750, infine, ebbero anche un loro governatore di giustizia. Lo Stato feudale di Laurino manteneva ancora indivisi solo i demani. Si avviava lentamente alla fine sopravvenuta con la legge di eversione della feudalità del 1806.

La porta di S. Benedetto, ‘mpere ‘u paiese è, invece, citata dagli Statuti come porta de Curciis o de monacis. Fu abbattuta sconsideratamente negli anni ’50. Nessuna citazione è riservata alla porta della Chiaia o di S. Domenico. Sul toponimo Chiaia valgono le argomentate considerazioni svolte su Zadalampe da Mino Schiavo [link]. La dedicazione a S. Domenico, più tarda, potrebbe derivare, credo, da un altare nella cappella della Madonna della Scordata o altra cappella scomparsa. Peraltro gli stessi Statuti attestano all’art. 221 una ragiam (via, sentiero, raia?) Sancti Dominici, posta dopo il vallone della festola e dunque, forse alle Fontanelle. Anche tale toponimo potrebbe essere all’origine della denominazione della sovrastante porta.

A nord-est, dunque, la Porta di S. Sofia (?) con l’annessa chiesina, a nord-ovest la “Porta di S. Domenico”, a sud-ovest la “Porta di S. Benedetto” o dei monaci, dal nome della chiesetta e del monastero benedettino.

Quest’ultima è da identificare, con buona probabilità, con la casa della scomparsa “Matalena”, accanto alla fontana, ancora oggi incorporata sui resti di muri del primitivo cenobio. La sua forma a capanna, tipicamente ecclesiale, peraltro fornita di un oculo con una S. Elena su piastrelle, richiama quella della cappella di S. Nicola del Pozzo, l’ex forno nello slargo dell’attuale lavanderia.
La chiesetta fu costruita dai nobili Capece di Napoli, conti di Sacco, proprietari del palazzo adiacente, poi dei Gaudiani. Di fronte (casa Trotta) c’era il Palazzo di giustizia del governatore di cui sopravvive una elegante “orna” di finestra tardogotica in pietra palombina. I Gaudiani, invece, avevano il loro palazzo con gran portale in pietra e cortile interno selciato, purtroppo distrutti, nell’edificio accanto, con fronte in Piazza Roma, attuale casa dello scomparso Raimondo. Poco più su c’era il palazzo del barone De Bellis, passato poi ai Pesce.

S. Sofia, S. Domenico, S. Benedetto: tre cappelle, tre santi a protezione divina di tre porte. Così d’altronde usava in molti centri medievali murati. Una ipotesi naturalmente, solo una ipotesi, ma con una certa logica. I toponimi, sopravvissuti attraverso i secoli, potrebbero esserne una prova.

Ma il bello delle divagazioni è che ammettono in ogni momento ripensamenti o pareri diversi. Anche contrari. Nuove scoperte documentali e nuovi contributi potrebbero colmare i vuoti della storia e del tessuto urbanistico medievale di Laurino, ricostruendo un passato certamente più dignitoso del presente. “Vedo le mura e gli archi…ma la gloria non vedo…Come cadesti o quando da tanta altezza in così basso loco?”, direbbe il sommo Giacomo. Senonché avviene che da noi si fa fatica a vedere anche le mura e gli archi.
E per questa miseria neanche Leopardi troverebbe parole.


 

 

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