Padri e figli
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La lettera di
Giuseppe Ippoliti

Novembre 2008

 



Padri e figli
...il gelo degli anni

In vista del suo matrimonio, Giuseppe Ippoliti scrive una lettera al padre Ulisse che evidentemente nella sua missiva sconsigliava il figlio di fare il passo. Quello che si capisce è che la posizione economica della futura sposa non è brillante e che questo non piace al vecchio Ulisse.

Ma la lettera di Giuseppe Ippoliti è anche un piccolo capolavoro di retorica forense, molto ben congegnata nei suoi momenti.
Un avvio accondiscendente per ben disporre il lettore (fate bene a rimproverarmi), poi subito una presa di posizione netta in cui rivendica la sua maturità (non sono un bambino). Segue una parte blanda in cui si riprende a dar ragione all'interlocutore (la sposa non ha una gran posizione economica, in effetti), prima di cercarne pateticamente la compassione (non sono destinato a grandi fortune).  Ma in conclusione il giovane Giuseppe fa valere i suoi sentimenti e riafferma con forza la sua posizione (sono giovane ed amo! quindi, è inutile star qui a discutere) prima di passare alla parte informativa che chiude definitivamente la lettera riportando la conversazione su un piano neutro.

Per il rapporto padri-figli, leggi anche
::...ratili mazzate:: e ::Il problematico Achille::


7 Aprile 1894

Carissimo Papà,
ho ricevuto stamane la vostra lettera, e vi rispondo subito. Innanzitutto, però, tengo a dichiarare che non sono punto dispiaciuto per  le parole di rimprovero rivoltemi, poiché so troppo quanto il vostro cuore senta per me, e come esse siano ispirate da immenso affetto al mio indirizzo. Se dispiacere ho io nell'animo, l'ho appunto perché comprendo di far cosa che dispiace a voi.

Ma è pur mestiere vi rendiate ragione del fatto mio, è pur mestiere comprendiate come io non sia giovanetto o pochi anni o giovane inconsiderato tanto da non vedere l'abisso che un momento o l'altro dovrebbe ingoiarmi e distruggere la mia esistenza.

Non posso certo affermare essere invidiabile la condizione economica di Maria Oricchio, ma neppure è quello che voi immaginate. E' una modesta condizione, come modesta è la condizione mia, e quando, fra poco altro tempo, avrò aggiustato le vertenze insorte, almeno tanto spero, e potrò allora dimostrarvi tutto, ho fiducia che sarete giudice men severo di quanto non siate oggi ed a ragione.

Grossa fortuna non era riservata a me, e questo ho sempre inteso nell'intimo della mia esperienza!
Non una ma più volte a codesti di famiglia, non a voi, ho detto che comprendevo di essermi cacciato in tante quistioni, ma ho pur detto che il ritrarmi sarebbe stato un fatto vergognoso, un fatto pel quale non sarei potuto restare a Vallo più oltre, e dei rimorsi mi avrebbero gravata la coscienza.
E non ripeto le ragioni di tutto questo.

Dovete intenderle. Volete rimproverarmi, rimproveratemi pure. I vostri rimproveri debbon ferire il mio cuore e debbon ferirlo perché sente ancora l'alito di una vita giovane, non avendolo ancora raggiunto il gelo degli anni.
Ma non mi rimproverate più oltre, e siate certo che saprò convenevolmente provvedere alle mie cose. E se davvero ostacoli sorgessero da farmi temere del mio avvenire, non esiterei un momento a secondare i vostri voti.
Desidero mi diciate quanto stabilirete di aver stabilito con Mastro Lorenzo.

Emiliuccio non scrive, e non so se trovasi ancora a Roma.
Mi rincresce che Zio sia molestato dal mal di denti.
Siate tranquillo per la mia salute. Uso tutte le possibili cautele. Qui niente di nuovo. Non ho ancora scritto a Gaetano Vairo.
Vittorio mi informò di tutto.
Ho ricevute le £ 101.50.
Baci di nuovo a Voi, a Mammà, ed a Zio (...) Bettina

Aff. Giuseppe

 

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