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Il Conte Giovanni
Benedetto Sangiovanni (parte 1)
di Anna e Cosmo Schiavo

Porto di Napoli, una giornata molto piovosa del 1819  1

Probabilmente la figura del fratello maggiore, Giosuè, lo aveva condizionato fin dalla nascita. Un abisso quei sei anni che lo dividevano da lui. Una gran testa, quel fratello, sempre presente a se stesso, ligio ai doveri, amante degli studi scientifici, delle scienze naturali. L’organo cromoforo dei cefalopodi? La riproduzione dei lombrichi tagliati a pezzi? Tra sé e sé dovette pensare che forse qualcosa non quadrasse.

Eppure era lì, l’illustre professore di zoologia e di anatomia comparata della Regia Università di Napoli, sempre a suo fianco a proteggerlo.


Giosuè Sangiovanni

Anche quella sera piovosa, sulla banchina del porto di Napoli. Dopo la fucilazione di Gioacchino Murat a Pizzo Calabro, fu costretto a nascondersi per tre anni, nelle campagne calabresi, alle volte nelle terre di amici fidati, ma, per lo più, solo, nelle montagne, soffrendo privazioni, freddo, stenti, fame.

Travestito da donna, ai suoi lati Giosuè, che nascondeva il suo volto con un ombrello, e un ufficiale della fregata americana ancorata nel vasto porto. Rispondi yes e very good, amorevolmente il fratello maggiore. Chissà, forse anche in quella circostanza provò un moto di stizza.
Rotta per Algeri. Vi arrivò, ma non si sentiva sicuro. Ottenne un passaggio su una nave mercantile diretta a New Orleans, di lì in Messico, poi a Montevideo, tornò indietro a Savannah nella Georgia, si diresse verso a New York, infine a Londra, dove lo attendeva il fior fiore dei rifugiati politici: Michele Carrascosa, il generale, il conte Carlo Pepoli, Gabriele Rossetti, il grande studioso di Dante Alighieri, Giuditta Pasta, il celebre soprano, il musicista Domenico Dragonetti, Niccolò Paganini.. Bella gente, un po’ sopra le righe, alcuni, ma i tempi erano quelli: idee e cuore una sola cosa. Romantici ante litteram esasperati, nel profondo del midollo osseo.

Aveva 37 anni, nel pieno della sua prorompente vitalità.


A Laurino, un leader

Ultimo di quattro figli, era nato a Laurino, nel 1781. Grandi professionisti ed integerrimi religiosi nella sua famiglia, proveniente da Orria. Proprietà terriere, abbastanza, ma meno della metà dei Vairo, dei Valente, dei Pesce, dei Consalvo. La maggior parte, chi più chi meno, tra borbonici e cosiddetti liberali, aveva profittato dei terreni demaniali, usurpando le proprietà collettive con sofisticati stratagemmi.
Fu accusato anche lui di impadronirsene, ma a viso aperto: 60 moggia della difesa Prato. Facendo, poi, uso della sua solita prepotenza imperiosa, fu trascinato in giudizio con l’accusa di aver usurpato anche due strade pubbliche, lì verso la Strettina di San Pietro, attaccata al giardino della casa di famiglia. Ebbè! Don Luigi Magliani non si era forse impadronito della Strettina di San Lorenzo?

Crescenzio, che facciamo stasera? Andiamo a rubare qualcosa nella masseria di Nicola d’Ignazio – al compagno di scorrerie, l’equivoco barone Crescenzo Valente. Andò male. Scoppettate alla cecata. Crescenzio restò ferito ad una gamba e, per giunta, dovettero subire un processo presso la Gran Corte Criminale. Quale oltraggio, per una ragazzata! Eppure non era più soltanto un ragazzo “scapestrato”.

Da lì a poco sarebbe stato condannato alla pena di morte, per i fatti del 1820, insieme con il fior fiore dei rivoluzionari cilentani: De Dominicis, De Luca, De Mattia…


L’infanzia

Fin da bambino non gli piaceva per niente studiare. Scappava dalla scuola ad ogni pie’ sospinto per recarsi nei boschi, per cacciare o si acquietava dal fabbricante di pipe del villaggio, ove si divertiva a lavorare con l’argilla, facendo magnifiche pipe con teste o figure coniche. S’imbrattava talmente le scarpe di creta che trascinava a casa qualunque porcheria incontrasse per la strada. Non immaginava neppure quanto gli sarebbe valso quell’apprendistato,

ampiamente innestato su indiscutibili doti naturali.

La giovinezza. I ricordi tragici di quell’anno terribile: il 1799

L’esuberanza giovanile probabilmente lo condusse al matrimonio a soli 18 anni, ma appena un anno dopo, eccolo lì, con il suo archibugio infallibile a tracolla: nel 1800 uccise dalla finestra Tommaso Vertullo, nel 1801 assaltò la masseria di Nicola Maffia per ammazzarlo; nel 1803 uccise Nicola Di Cesare nella Chiesa Collegiata mentre era esposto il Santissimo per le “quarant’ore”, tanto che il sacerdote, che era sull’altare, dovette accorrere per dare l’estrema unzione al malcapitato; nel 1806 uccise Nicola Paruolo di Biase, finendolo a colpi di coltello; nel 1810 sparò ad Angelo Cortazzo; nel 1811, distaccato nel monastero di Padula con la sua compagnia di militi, uccise un “tavernaro”di quel luogo, schiaffeggiò il Sottintendente nella fiera di S.Bruno per futili motivi; in una locanda di Salerno si vantò di aver ucciso 13 borbonici; nel 1812, distaccato al porto di Sapri, per sospetto d’infedeltà della sua amante, tale Maria della Sala di Diano, mentre quattro militi tenevano ferma la poverina, egli la lardiò nelle parti pudende fino a che la lasciò semiviva al suolo; nel 1813, insieme ad altri, uccise Pio Gasparro di Roscigno e ferì D.Nicola Antonio Foca.

L’odio per i tragici avvenimenti del 1799 verificatisi a Laurino, il massacro della famiglia Pagano, le uccisioni di alcuni esponenti delle famiglie De Gregorio e Gaudiani, l’esilio a Parigi del fratello Giosuè, gli facevano ribollire il sangue. Non si chetò fino a quando fece giustizia sommaria col moschettate alla spicciolata tutti quei carnefici.
Già con Giuseppe Bonaparte, nel 1807, ebbe importanti incarichi, ma è con Gioacchino Murat che divenne capitano delle guardie provinciali con il compito principale della soppressione dell’esteso brigantaggio. Vivevano di saccheggi e di ruberie, uomini e donne assetati di vendette. Michele Pezze, fra’ Diavolo, era una leggenda. Lo conobbe bene. Ne raccontò gli aneddoti. Poi la tragedia di Pizzo Calabro. Il più ricercato fu proprio il famoso capitano Sangiovanni.

Usarono anche i preti per stanarlo. Un frate cercò di avvicinarlo. Se tu vieni un altro poco più vicino, io ti uccido.Figlio mio, io voglio farti del bene, voglio darti un buon consiglio e benedirti -. Si avvicinò e lo uccise con uno stiletto che aveva tratto dalla manica della sua giacca.


Finalmente a Londra

Era molto orgoglioso. Non gli piaceva vivere di carità.

Un giorno vide alcune pipe di terracotta dalla forma bizzarra e disse ad un amico che pensava che sarebbe stato capace di farne delle migliori. Si procurò un po’ di creta e cominciò a modellare…il suo talento fu apprezzato…Era capace di modellare ogni cosa: figure di animali a grandezza naturale o miniature…

Nessuno aveva il suo stile. Fece anche busti di persone decedute da anni, in maniera perfetta, a dire dei committenti.

La stima e l’amicizia di Giuseppe Bonaparte e di Achille Murat

Il primogenito di Gioacchino Murat andò esule in Florida, nei pressi di Tallhassee. Viveva in una grande piantagione con più di 400 lavoranti. Nel 1830 il principe ritornò in Europa, sperando di riconquistare il trono. Molti italiani rifugiati erano pronti ed ansiosi di aiutarlo, Benedetto per primo.

Senza il minimo indugio lasciò i suoi a Londra e si recò a Parigi per essere più vicino e dare una mano quando fosse necessario. Le spie governative riferirono al capo della polizia che il famoso Sangiovanni era giunto a Parigi con il preciso intento di ammazzare il re e che aveva un fucile della portata di un miglio e che era un infallibile tiratore e non avrebbe mai sbagliato il colpo. Gli intimarono di lasciare Parigi entro 24 ore e la Francia entro 20 giorni, Lo scortarono fino al porto di Boulogne.

Fallito il tentativo, Murat tornò in America. Chiese a Benedetto se volesse anche lui tornare in Florida: gli avrebbe dato una terra; lo avrebbe aiutato a costruire una casa.

Aveva 52 anni. Partì per la terra della libertà. Arrivò a New York circa a metà dell’ottobre del 1833. Fu ospitato, come pensionante, nella casa di David White Rogers.

Susanna: ne restò affascinata

Mi ricordo come fui colpita la prima volta che lo vidi. Era un uomo alto, dall’aspetti signorile, che indossava un lungo mantello blu da marinaio, rivestito di velluto genovese color cremisi; terminava con un largo collo di pelliccia, allacciato con alamari e decorato con ornamenti dorati. Pensai che sicuramente era una persona importante. M’incuteva un certo timore. Avrei voluto parlargli audacemente. Mio padre ne fu colpito favorevolmente. Per molti giorni rimase per lo più nella sua stanza, ricevendo quasi ogni giorno degli stranieri dall’aspetto importante. Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, riconoscente nei suoi confronti, si fermò per alcuni giorni. Pensando che potesse apparire come un avventuriero, Benedetto ci rassicurò mostrandoci lettere di credito di galantuomini di New York, per poter provare, così, la sua identità.

Anche il padre e i fratelli ascoltavano rapiti i racconti, forse amplificati, delle sue imprese.

Susanna si sentiva timida ed impacciata, anche a disagio quando gli occhi dell’avvenente capitano seguivano sfrontatamente i suoi movimenti.
Che differenza con suo padre più giovane di sei anni! Davide possedeva calma, forza tranquilla, non si adirava facilmente e avresti potuto contare su di lui in qualsiasi circostanza; Benedetto, al contrario, era eccitabile ed imprevedibile.

Quando gli chiese la mano di sua figlia, David White Rogers ne fu compiaciuto. Convinse la figlia ad acconsentire, nonostante le sue non poche perplessità. Trepidava il suo corpo e la sua mente. Come poteva una ragazza di campagna piacere tanto ad un sofisticato uomo di mondo?
Appena tre settimane di conoscenza…


Una faticosa, bizzarra luna di miele
Chiesa metodista di New York City, era il 5 novembre dell’anno del Signore 1833.

Magnifica fu la predica del reverendo Fitch Reed. Lei un fiore di gioventù. Gli occhi blu esaltavano i capelli castano chiari lunghi fino al bacino; lui, elegantissimo, in una divisa militare raccattata chissà dove.

Dopo due settimane s’imbarcarono per Savannah, Georgia. Li attendevano alcuni amici di Benedetto per accompagnarli a Tallahssee. Mancavano pochi giorni al Santo Natale.

Madame Caterina Murat ( Kate da quelle parti) era lì con il suo cavallo da corsa preferito, in attesa delle gare. Un paese selvaggio, ancora poco civilizzato: indigeni, indiani, negri si aggiravano tra bande di speculatori e disperati. Susanna fu colpita da alcune locandine : ricompense in denaro per le pelli di lupi,orsi, tigri e pantere; 5 dollari di taglia per chi scaricasse armi da fuoco o facesse correre un cavallo o un carro oltre i limiti di…velocità consentiti.
Lì trascorsero le vacanze natalizie. Fu un periodo faticoso ( “hard set”) – a detta di Susanna.


Il principe ci accolse con molta cordialità. Ne fummo molto compiaciuti, anche nel vedere il modo in cui il principe viveva. La casa era una lunga costruzione a pianterreno; una metà era sovraelevata con una camera a ciascuna delle estremità; intorno un grande spazio aperto con alcune costruzioni aggiunte. Alloggiavamo in un casa distante un miglio nei pressi dell’estesa piantagione di canne da zucchero e della fabbrica (di trasformazione)…i negri cantavano

la sera dopo la dura giornata di lavoro… noi spiavamo le loro festicciole e i loro balli.

Lipona desiderò che fosse chiamato quel piccolo regno Achille Murat. Lipona, anagramma di Napoli! La Signora madre di Achille, la moglie di Gioacchino Murat, l’ex magnifica e saggia regina Carolina, era conosciuta come la contessa di Lipona.

Il principe era il signore assoluto della vita economica, sociale e politica della città. Un tipo eccentrico “Aquilar”: linguista, scrittore, coltivatore di successo, poi avvocato, giudice di pace, colonnello del 7° reggimento della milizia della Florida, chef bizzarro. Preparava il pane di notte con un tipo di farina speciale, la farina gallica, fatta giungere dalla madrepatria. Era specializzato nell’elaborazione di succulenti portate: stufato di orecchie di mucca, tranci di maiale, serpenti a sonagli arrostiti.

Caterina era di 10 anni più anziana di Susanna. Da adolescente aveva avuto un marito ed un figlio. Nel 1826 aveva sposato “Aquilar”: fu il gossip della Middle Florida. Le opinioni contrastavano: c’era chi diceva che avrebbe meritato di sedere sul trono di Napoli, in futuro; altri ritenevano che, sotto sotto, ci fosse una buona dose di opportunismo.

Teiere d’oro, tappeti di damasco lunghi sei metri con lo stemma di Napoleone, tovaglie di lino misto a seta con le insegne del re di Napoli, un busto di marmo della Regina Madre, gigantesche magnolie che sovrastavano la casa, anche un lago alla fine della proprietà. Era chiamato lago Caterina.Sulla tavola da pranzo non mancava mai una bottiglia di whiskey di prima qualità. Era un gran bevitore Aquilar. Morì povero e indebitato.

Benedetto e Susanna si aspettavano che il principe parlasse di quanto aveva promesso. Niente! Nicchiava, quando Benedetto cercava, rispettosamente, di far cadere, in certo qual modo, la conversazione, sull’argomento.

Non sono innamorata della Floridapiove sempre d’autunno, non è cosa, pensava Susanna. E poi, lui soffriva di reumatismi cronici, contratti per le incaute esposizioni alle intemperie e per i viaggi in mare. Murat aveva sempre promesso e mai mantenuto. Benedetto decise che non poteva dipendere da lui: il 12 aprile del 1934 salutarono gli amici e tornarono a New York. Dopo cinque settimane partirono per l’Inghilterra. Dopo 6 settimane giunsero a Londra il 15/6/1834. Fu una traversata molto faticosa.


London, la città più grande del mondo!

Un milione e mezzo di abitanti, il centro della finanza mondiale. Visitarono magnifici palazzi, importanti edifici, piazze smisurate, centinaia di chiese.
Conosceva bene Marylebone Benedetto, un quartiere nel quale abitava una colonia di rifugiati italiani.
Orgoglioso, cercò per primo Gabriele Rossetti, amico e compagno politico, il grande e sfortunato studioso di Dante Alighieri. Era lì fin dal 1824.


Rossettis family

Furono ospitati, per i primi tempi, nella piccola casa dei Rossetti, in Charlotte Street 38 (poi Hellam Street tra Portland Place e Portland Street). In una piccola stanza dietro la sala da pranzo, salottino di Christina, una delle figlie dei Rossetti, fu organizzata una specie di camera da letto. Gabriele aveva due anni in meno di Benedetto. Aveva sposato a 34 anni Frances Polidori, più giovane di 17 anni, figlia di un altro rifugiato politico, Gaetano Polidori, anch’egli bella mente di studioso.

Avevano per figli 4 pesti, i Rossetti, insomma bambini, diciamo così, un po’ vivaci, educati a forme autonome, ma estremamente condizionanti, di libertà. Sarebbero diventati grandi letterati, poeti, artisti, stimati professionisti.

In quel periodo papà Gabriele stava lavorando ad una traduzione in inglese della Divina Commedia…in compagnia di uccelli cinguettanti in diverse gabbia, uno scoiattolo che correva “inutilmente” su un tapis-roulant, fortunatamente un ghiro ed un pericoloso porcospino. Chissà se fu proprio per difesa intellettuale che scrisse, tra un cielo angelico e l’altro, anche La Culeide, in antitesi al moderno costume dei culi finti, un poema di 3360 versi contro le imposizioni della moda, esaltazione appassionata del deretano femminile, la mente e il cuore sognanti Mergellina: Come placida viene al lido l’onda/ quando lieve sul mar Zeffiro scherza/ che alla prima succede la seconda/ e questa torna e va a lambir la terza/ lieta d’un bacio al sen di Mergellina/ così move il cul di Carolina.
Il capitano Sangiovanni si recava spesso a trovare l’amico. Amava intrattenersi con quegli allegri fanciulli. Non poteva esimersi dal raccontare le sue mirabolanti imprese. Narrava anche della sua tenuta e dei suoi schiavi americani, mentendo palesemente per un sogno che non si era realizzato.

I pargoli ascoltavano educatamente in silenzio, a bocca aperta. Era considerato una specie di nonno paterno, pronto ad intervenire in ogni circostanza: one exstraordinary man called, il preferito , un uomo dalla vita straordinaria – così lo ricorderà Christina Rossetti, non meno sfortunata del padre. Un giorno Dante Charles Gabriel (Rossetti nutriva un amore ossessivo nei confronti del grande poeta italiano) si procurò una profonda ferita con uno scalpello. Fu il Capitano che prese in mano la situazione insieme con il nonno materno: scavò la ferita, la pulì, la medicò più volte, guarendola.

In questo ambiente erano ospitati gruppi di emigranti italiani curiosamente vestiti. Si conversava, gustando pane imburrato, caffè, thè, di politica, ma anche di letteratura. Per deferenza alla Signora Francis e ai bambini nessuno fumava, mai.

La passione politica di Elder (“il più anziano”, senior) Rossetti e dei suoi amici, più che per Mazzini, Garibaldi e Luigi Napoleone, era rivolta alle sorti dell’Europa. Non coinvolgeva assolutamente la nonna e i figli. La nonna era una gentile matrona che presiedeva aspettando il pranzo, rispettando un ruolo perfettamente inglese.

I vecchi ex rivoluzionari, ciascuno a turno, si alzavano e parlavano con eccitazione e con ampi gesti, enfatizzando la loro rabbia e il cattivo stato del continente europeo. Gli altri ricordavano le sofferenze e gemevano.

Ciascuno riferiva del come s’ingegnasse a tornare nella nativa Italia. Dopo pranzo le donne giocavano a domino o a scacchi; gli uomini continuavano le loro animate discussioni.

(continua)

1 FONTI:

*JANE RAE FULLER TOPHAM, In Search of Living Water – Biography of Susanna Mehetable Rogers Sangiovanni Pickett Keate, Orem, Utah, s.n., 1995;

*NADIA R.WILLIAMSON, David White Rogers of New York, Brigham Young University Studies 35, n°2 (1995), pp.73-90;

* R.L.GALE, An Ambrose Bierce Companian, Greenwood Press, Westport, 2001;

* E.T. JAMES – J. WILSON JAMES, Notable american women, Radcliffe College, 1971;

* G.PECORI, Laurino e l’omonimo Stato, Ed.Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli (SA), 1994;

* C.SCHIAVO, Proprietà, lavoro e potere nel corso dell’Ottocento – Indagine su un paese campione del Cilento: Laurino, Galzarano editore, Casalvelino scalo (SA), 1980;

* http://reocities.com/athens/oracle/7207/coolbrith/html; www.cowanauctions.co/auctions/item.aspx?ItemId=33665;


 

 

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