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Collegiata di Santa Maria
Un’urna cineraria di epoca romana
di Cosmo Schiavo

In un piccolo vano, sottostante la sacrestia della cripta della chiesa di S. Maria Maggiore, vi è una piccola vasca forata (cm.40 x 28 x 28), molto deteriorata, che funge da acquasantiera “a labbro”.
Scolpita in un unico blocco di pietra, presenta figure zoomorfe e fitomorfe.

È possibile riconoscere, sulla sinistra, un caprone, da un cui corno pende un serto di fiori o di frutti, e un volatile (un’aquila o un pavone), che guarda il caprone e becca il serto; sulla destra un altro uccello, simmetricamente opposto al precedente, della stessa forma, e resti della testa di un altro caprone.   Altri elementi si presentano, a prima vista, fitomorfi, riconducibili forse all’albero della vita, con centro un deteriorato emblema conico stilizzato (un arco a sesto acuto rovesciato), al cui vertice inferiore appaiono, anch’essi deteriorati, due pennuti affrontati, sembrano crestati, che potrebbero rappresentare dei galli. Al di sotto è evidente una ricca ghirlanda. È palese la simmetria che governa, nell’ insieme, il manufatto. Il foro è stato arricchito di elementi non proprî (canalina di deflusso in stagno). È ragionevole pensare ad un’urna cineraria romana, rielaborata in epoca medievale. Numerose sono le urne cinerarie di epoca romana rinvenute, che presentano la stessa tipologia iconografica.

Tali manufatti, alcuni d’indubbia bellezza, erano riutilizzati nelle chiese come acquasantiere oppure, a partire dal IX secolo, erano vere e proprie acquasantiere scolpite su modelli romani. In epoca medioevale la pratica del reimpiego costituiva un evento comune.

Vi sgorgava acqua, incanalata in una sottostante vaschetta raccoglitrice, poco più grande, anch’essa forata, in collegamento, molto probabilmente, con un pozzo circolare (diametro cm.86), poi degradante a forma di cono, con un foro di deflusso (ora chiuso), che ci piace pensare rimandi all’emblema conico.
Si tratta, credo, di un fonte battesimale. La complessiva allegoria rappresenterebbe la tentazione e la salvezza attraverso la purificazione.
Il segno distintivo di discontinuità rispetto all’analoga tipologia romana è rappresentato dallo “scudo” conico inserito nella tabula epigrafica, sulla quale era inciso il nome del defunto, forse eraso, e gli elementi fitomorfi. Può rappresentare uno scudo “araldico”, a indicare il lignaggio delle ceneri che conteneva. L’urna sarebbe stata riutilizzata e adattata in un quadro temporale diverso. L’iconografia rimanderebbe anche a una simbologia prettamente cristiana. L’urna dovrebbe essere stata posta nella cripta dell’antica chiesa in tempi precedenti, assegnandole anche una funzione apotropaica. Il riutilizzo può essere datato tra la fine del XII secolo e la prima metà del XIII.

L’ariete, animale deputato al sacrificio in età greco/romana, diviene l’Agnello/Cristo che salva l’umanità con il suo sacrificio, in contrapposizione al caprone simbolo dell’impuro. Infatti, nella basilica patriarcale di Aquileia, il Pleroma, il Padre celeste, è rappresentato sotto le sembianze di un ariete. In Giovanni l’Apostolo gli eletti incardinati come sacerdoti sono “capri” della Chiesa di Dio, così come Hermes era detto crioforo, portatore d’ariete.
Il pavone, l’uccello di Giunone, secondo Ovidio, rappresenta ora con la sua ruota la volta celeste; con gli occhi le stelle, il cielo al quale i defunti ascendono, quindi l’immortalità; il cambio del piumaggio, la resurrezione e la rinascita; la sua carne è incorruttibile, simbologia recuperata anch’essa dal mondo classico.
Il piano di calpestio del piccolo vano è sullo stesso livello della sottostante via Collegiata. L’acqua, dunque, o era incanalata, per essere convogliata in un’area esterna della chiesa in terrazzamenti di pertinenza o si perdeva, sul versante più proprio, nell’imponente scarpata rocciosa.
Non so dire se l’”acquasantiera” sia stata sempre nel posto nel quale ora la troviamo. Nella maggior parte dei casi era ricollocata nelle immediate adiacenze dell’ingresso delle chiese. Era stata portata in Laurino da una qualche parte da un qualche solerte prelato, che aveva timore a esporla, oppure era stata volutamente collocata ove si trova per creare una correlazione con il fonte, oppure è stata rinvenuta sotto qualche altare della cripta e riutilizzata?

L’antico rito del battesimo per immersione (baptizo, gr.), che all’inizio fu praticato dai sacerdoti egiziani di Iside, presente in varie culture pre-cristiane, in particolar modo nei misteri eleusini di Dioniso e Demetra, simboleggia anche il seppellimento del “vecchio” uomo e la rinascita dell’uomo rinnovato.
L’acqua santificata per battezzare i neonati o, comunque, per “lustrare”, purificare anche i fedeli adulti o i pellegrini (catecumeni) è un elemento certo. Il termine di riferimento complessivamente più vicino è la pieve di San Siro a Cemmo, in provincia di Brescia, costruita su uno spuntone roccioso. Il bel portale (XI sec.) è
istoriato con un’ amphisboena, il serpente favoloso con ali e testa anche sulla coda e con un duplice motivo di sirena bicaudata. Il tema sviluppato è legato all’idea del doppio (simmetria, incrocio, ambiguità, mistero dell’umana natura in equilibrio sempre precario tra anima e corpo, tra terra e cielo, tra tentazione e redenzione). Sulla lunetta, in latino: Benedici, o Dio, coloro che qui entrano e verso di te
s’affrettano. Nel vano della cripta vi è un fonte battesimale in calcare, ricavato da un recipiente per olive di epoca romana. Sul lato ovest della chiesa vi è una gradinata. I catecumeni, ricevuto il battesimo per immersione, uscivano all’esterno per asciugarsi ai raggi del sole, rinascita simbolica a una vita nuova. Dal vano in cui è posto il fonte si può ipotizzare un’uscita sullo spiazzale retrostante, luogo ricordato come
pusterla per la presenza di una piccola porta secondaria di accesso al paese.


L'acquasantiera mi è stata segnalata da Bruno Durante.

Si ringrazia Mino Schiavo per l'articolo e le immagini

 


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